Vacuità di esistenza intrinseca
Elemento centrale della dottrina Buddista è il concetto di vacuità, concetto che non di rado è soggetto ad interpretazioni errate e che portano di conseguenza a considerazioni
di natura nichilista nei confronti della dottrina stessa.
La vacuità al contrario è fonte di liberazione per il praticante, perché attraverso la meditazione sulla stessa, l’individuo realizza un graduale distacco dal proprio egocentrismo. E’ importante però non limitarsi ad una mera comprensione intellettuale, ma cercare invece di farne viva esperienza nell’osservazione della realtà.
Per definizione, la vacuità è l’assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni, intendendo qui per fenomeni sia la realtà sensibile sia i diversi aspetti dell’Io umano.
Volendo ora dimostrare per via logica la vacuità, è importante analizzare preventivamente l’oggetto della nostra negazione, ovvero l’esistenza intrinseca, ipotizzando che questa esista realmente.
E’ un po’ come dire che non è possibile capire la frase “ l’acqua non è solida “ se prima non ci siamo fatti un’idea ben precisa di che cosa sia la solidità.
Dunque quando parliamo di esistenza intrinseca o più genericamente del Sé, immaginiamo un qualcosa che abbia un carattere proprio, a se stante e indipendente dal tutto. Ciò vorrebbe dire che un qualsiasi fenomeno dovrebbe conservare le suddette caratteristiche indipendentemente
da tutto ciò che lo circonda.
A prima vista questo potrebbe sembrare vero, ma se noi scendiamo più in profondità nell’analisi di un determinato fenomeno senza limitarci ad una grossolana visione dello stesso, possiamo osservare che questo assume svariate caratteristiche a seconda del rapporto che esso instaura
con gli altri fenomeni circostanti o con l’uomo stesso.
Dovendo quindi stabilire un carattere univoco, quale è richiesto dalla definizione di esistenza intrinseca del fenomeno analizzato, scopriamo che in realtà esso ne è privo, perché come abbiamo constatato il suo esistere dipende da cause e condizioni esterne.
Se ogni cosa esistesse per propria intrinseca natura, allora le cose stesse ci apparirebbero
sempre e comunque, anche in assenza di quei fenomeni che ne determinano le loro sembianze.
Cosicché ciò che noi designiamo come “albero”, esisterebbe anche in assenza delle sue cause e condizioni esterne ovvero acqua, aria, terra e luce. Con questo non si vuole affatto affermare la totale inesistenza dell’albero in questione, ma si vuole solo evidenziare il suo carattere dipendente.
Similmente, il carattere di un gatto che noi umani interpretiamo come piacevole, sicuramente non sarà condivisibile allo stesso modo da un merlo. Dei due tipi di vacuità, una in relazione alle cause del divenire, e l’altra come risultato del rapporto instaurato con l’uomo, la seconda è senza dubbio la più importante. Questo perché attraverso la sua completa comprensione, non si osservano più i fenomeni solo in relazione a noi stessi, ma anche in relazione ad altri fenomeni circostanti.
Tutti i fenomeni quindi hanno due modi di esistere; il primo è un modo di esistere convenzionale, così come è percepito dai nostri sensi ordinari, mentre il secondo è la vacuità di esistenza intrinseca.
A questo punto comprendiamo che la vacuità non è altro che la “via di mezzo” indicata dal Buddha. Se da una parte rifiutiamo il nichilismo, cioè la concezione per la quale nulla esiste veramente e dall’altra rifiutiamo l’assolutismo, cioè l’idea di un esistenza intrinseca di tutti i fenomeni, ne consegue che l’unica posizione accettabile è la via di mezzo o vacuità.
Quindi l’albero dell’esempio precedente, benché sia una cosa la cui realtà convenzionale esiste solo in virtù della nostra designazione, non e’ comunque privo di un qualche tipo di esistenza.
Similmente, ogni essere umano ha istintivamente una certa percezione di se stesso ovvero del suo “Io”, che condiziona tutta la sua esistenza. Volendo analizzare in che modo l’uomo si percepisce, viene anche naturale domandarsi se questa percezione sia corretta o meno. Infatti, benché questa percezione sia un fenomeno istintivo, non è detto che sia anche corretta.
Vediamo dunque come l’uomo percepisce l’esistenza del proprio“io”. Questo Io che l’uomo avverte non sempre viene percepito con la stessa intensità, ma la percezione varia a seconda delle situazioni. Ciò che però a noi interessa analizzare, è quell’Io percepito come una presenza intrinseca
all’interno di noi stessi.
Questo tipo di sensazione si ha soprattutto quando per esempio viene toccato il nostro orgoglio, oppure quando veniamo accusati di cose che non abbiamo fatto. In queste situazioni si avverte come un affronto alla stabilità del nostro Io e di conseguenza reagiamo
con sentimenti di paura o aggressività.
Questo succede proprio perché avvertiamo questo Io come un qualcosa che ha una propria natura intrinseca all’interno di noi stessi e che è completamente indipendente da tutto il resto.
Ma se qualcosa esiste veramente, attraverso un’analisi logica dovremmo trovarlo, così come in ambito scientifico si analizza la materia per trovare le particelle infinitesimali.
Andando quindi a cercare questo presunto Io intrinseco con un’indagine analitica,
alla fine però non riusciamo a trovarlo.
Se accettiamo l’idea di un Io intrinseco ed indipendente, allora questo potrebbe essere o la stessa cosa con i nostri aggregati psico-fisici, oppure qualcosa di completamente differente.
Nel caso dell’identificazione con gli aggregati,se l’Io fosse il corpo fisico con i suoi sensi, allora dovrebbe essere esteso su tutta la superficie del corpo e all’interno di ogni senso, cosicché se venisse tagliata una mano e messa su un tavolo, allora anche una parte dell’Io rimarrebbe sul tavolo. E se dovessimo diventare ciechi allora anche in questo caso una parte di Io scomparirebbe con la vista. Ma sappiamo bene che ciò è assurdo, e sebbene in questi casi sia comprensibile un certo sentimento di menomazione fisica, comunque la nostra percezione di un Io intrinseco rimarrebbe integra. Se invece si pensa che l’Io risieda in un ben preciso punto del corpo o dei sensi allora dovremmo domandarci dove; nel cuore, nella testa o nel ventre? In questi casi però l’Io non potrebbe più dirsi indipendente, perché sappiamo che il cuore, ad esempio è sollecitato anche dalle emozioni
che nascono nella mente così come la gran parte del nostro corpo.
Se invece, come comunemente si pensa, anche se un po confusamente, che l’Io risieda nella mente o coscienza, allora non avrebbero senso certe frasi legate alla corporeità come ad esempio “ Io ho fame”, “Io sto male” e via dicendo. Anche qualora provassimo ad identificarlo con il nostro carattere o personalità, noteremo comunque che è molto difficile racchiuderlo entro dei limiti ben definiti. Infatti, tutti possiamo constatare come nel corso della nostra vita cambiamo frequentemente idee, interessi e pensieri e non solo da un anno all’altro ma addirittura dalla mattina alla sera. Questa è la chiara dimostrazione di come l’Io sia condizionato da varie cause. Viene quindi spontaneo sospettare che questo Io non abbia poi una natura così intrinseca come si crede. Oltretutto, se fosse vero che sentimenti e pensieri ci appartengono così intimamente, nulla ci impedirebbe di controllarli a nostro piacimento, evitando così i vari conflitti interiori che spesso ci fanno soffrire.
Non riuscendo quindi a trovare questo Io intrinseco, dobbiamo forse riconoscere che esso abbia invece un carattere dipendente e cioè che esiste come una pura proiezione mentale
che nasce sulla base dell’insieme corpo-mente.
Non si nega quindi l’esistenza di una qualche forma di Io, ma si nega invece che esso abbia una propria natura intrinseca e indipendente da tutto.
Tutto questo discorso sulla vacuità come abbiamo detto non deve essere fine a se stesso, perché altrimenti sarebbe una mera speculazione intellettuale, ma deve avere come scopo ultimo il distacco dal proprio egocentrismo, che è in ultima analisi la causa primaria di tutta
la nostra sofferenza esistenziale.
Lama Paljin Tulku Rinpoche
di natura nichilista nei confronti della dottrina stessa.
La vacuità al contrario è fonte di liberazione per il praticante, perché attraverso la meditazione sulla stessa, l’individuo realizza un graduale distacco dal proprio egocentrismo. E’ importante però non limitarsi ad una mera comprensione intellettuale, ma cercare invece di farne viva esperienza nell’osservazione della realtà.
Per definizione, la vacuità è l’assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni, intendendo qui per fenomeni sia la realtà sensibile sia i diversi aspetti dell’Io umano.
Volendo ora dimostrare per via logica la vacuità, è importante analizzare preventivamente l’oggetto della nostra negazione, ovvero l’esistenza intrinseca, ipotizzando che questa esista realmente.
E’ un po’ come dire che non è possibile capire la frase “ l’acqua non è solida “ se prima non ci siamo fatti un’idea ben precisa di che cosa sia la solidità.
Dunque quando parliamo di esistenza intrinseca o più genericamente del Sé, immaginiamo un qualcosa che abbia un carattere proprio, a se stante e indipendente dal tutto. Ciò vorrebbe dire che un qualsiasi fenomeno dovrebbe conservare le suddette caratteristiche indipendentemente
da tutto ciò che lo circonda.
A prima vista questo potrebbe sembrare vero, ma se noi scendiamo più in profondità nell’analisi di un determinato fenomeno senza limitarci ad una grossolana visione dello stesso, possiamo osservare che questo assume svariate caratteristiche a seconda del rapporto che esso instaura
con gli altri fenomeni circostanti o con l’uomo stesso.
Dovendo quindi stabilire un carattere univoco, quale è richiesto dalla definizione di esistenza intrinseca del fenomeno analizzato, scopriamo che in realtà esso ne è privo, perché come abbiamo constatato il suo esistere dipende da cause e condizioni esterne.
Se ogni cosa esistesse per propria intrinseca natura, allora le cose stesse ci apparirebbero
sempre e comunque, anche in assenza di quei fenomeni che ne determinano le loro sembianze.
Cosicché ciò che noi designiamo come “albero”, esisterebbe anche in assenza delle sue cause e condizioni esterne ovvero acqua, aria, terra e luce. Con questo non si vuole affatto affermare la totale inesistenza dell’albero in questione, ma si vuole solo evidenziare il suo carattere dipendente.
Similmente, il carattere di un gatto che noi umani interpretiamo come piacevole, sicuramente non sarà condivisibile allo stesso modo da un merlo. Dei due tipi di vacuità, una in relazione alle cause del divenire, e l’altra come risultato del rapporto instaurato con l’uomo, la seconda è senza dubbio la più importante. Questo perché attraverso la sua completa comprensione, non si osservano più i fenomeni solo in relazione a noi stessi, ma anche in relazione ad altri fenomeni circostanti.
Tutti i fenomeni quindi hanno due modi di esistere; il primo è un modo di esistere convenzionale, così come è percepito dai nostri sensi ordinari, mentre il secondo è la vacuità di esistenza intrinseca.
A questo punto comprendiamo che la vacuità non è altro che la “via di mezzo” indicata dal Buddha. Se da una parte rifiutiamo il nichilismo, cioè la concezione per la quale nulla esiste veramente e dall’altra rifiutiamo l’assolutismo, cioè l’idea di un esistenza intrinseca di tutti i fenomeni, ne consegue che l’unica posizione accettabile è la via di mezzo o vacuità.
Quindi l’albero dell’esempio precedente, benché sia una cosa la cui realtà convenzionale esiste solo in virtù della nostra designazione, non e’ comunque privo di un qualche tipo di esistenza.
Similmente, ogni essere umano ha istintivamente una certa percezione di se stesso ovvero del suo “Io”, che condiziona tutta la sua esistenza. Volendo analizzare in che modo l’uomo si percepisce, viene anche naturale domandarsi se questa percezione sia corretta o meno. Infatti, benché questa percezione sia un fenomeno istintivo, non è detto che sia anche corretta.
Vediamo dunque come l’uomo percepisce l’esistenza del proprio“io”. Questo Io che l’uomo avverte non sempre viene percepito con la stessa intensità, ma la percezione varia a seconda delle situazioni. Ciò che però a noi interessa analizzare, è quell’Io percepito come una presenza intrinseca
all’interno di noi stessi.
Questo tipo di sensazione si ha soprattutto quando per esempio viene toccato il nostro orgoglio, oppure quando veniamo accusati di cose che non abbiamo fatto. In queste situazioni si avverte come un affronto alla stabilità del nostro Io e di conseguenza reagiamo
con sentimenti di paura o aggressività.
Questo succede proprio perché avvertiamo questo Io come un qualcosa che ha una propria natura intrinseca all’interno di noi stessi e che è completamente indipendente da tutto il resto.
Ma se qualcosa esiste veramente, attraverso un’analisi logica dovremmo trovarlo, così come in ambito scientifico si analizza la materia per trovare le particelle infinitesimali.
Andando quindi a cercare questo presunto Io intrinseco con un’indagine analitica,
alla fine però non riusciamo a trovarlo.
Se accettiamo l’idea di un Io intrinseco ed indipendente, allora questo potrebbe essere o la stessa cosa con i nostri aggregati psico-fisici, oppure qualcosa di completamente differente.
Nel caso dell’identificazione con gli aggregati,se l’Io fosse il corpo fisico con i suoi sensi, allora dovrebbe essere esteso su tutta la superficie del corpo e all’interno di ogni senso, cosicché se venisse tagliata una mano e messa su un tavolo, allora anche una parte dell’Io rimarrebbe sul tavolo. E se dovessimo diventare ciechi allora anche in questo caso una parte di Io scomparirebbe con la vista. Ma sappiamo bene che ciò è assurdo, e sebbene in questi casi sia comprensibile un certo sentimento di menomazione fisica, comunque la nostra percezione di un Io intrinseco rimarrebbe integra. Se invece si pensa che l’Io risieda in un ben preciso punto del corpo o dei sensi allora dovremmo domandarci dove; nel cuore, nella testa o nel ventre? In questi casi però l’Io non potrebbe più dirsi indipendente, perché sappiamo che il cuore, ad esempio è sollecitato anche dalle emozioni
che nascono nella mente così come la gran parte del nostro corpo.
Se invece, come comunemente si pensa, anche se un po confusamente, che l’Io risieda nella mente o coscienza, allora non avrebbero senso certe frasi legate alla corporeità come ad esempio “ Io ho fame”, “Io sto male” e via dicendo. Anche qualora provassimo ad identificarlo con il nostro carattere o personalità, noteremo comunque che è molto difficile racchiuderlo entro dei limiti ben definiti. Infatti, tutti possiamo constatare come nel corso della nostra vita cambiamo frequentemente idee, interessi e pensieri e non solo da un anno all’altro ma addirittura dalla mattina alla sera. Questa è la chiara dimostrazione di come l’Io sia condizionato da varie cause. Viene quindi spontaneo sospettare che questo Io non abbia poi una natura così intrinseca come si crede. Oltretutto, se fosse vero che sentimenti e pensieri ci appartengono così intimamente, nulla ci impedirebbe di controllarli a nostro piacimento, evitando così i vari conflitti interiori che spesso ci fanno soffrire.
Non riuscendo quindi a trovare questo Io intrinseco, dobbiamo forse riconoscere che esso abbia invece un carattere dipendente e cioè che esiste come una pura proiezione mentale
che nasce sulla base dell’insieme corpo-mente.
Non si nega quindi l’esistenza di una qualche forma di Io, ma si nega invece che esso abbia una propria natura intrinseca e indipendente da tutto.
Tutto questo discorso sulla vacuità come abbiamo detto non deve essere fine a se stesso, perché altrimenti sarebbe una mera speculazione intellettuale, ma deve avere come scopo ultimo il distacco dal proprio egocentrismo, che è in ultima analisi la causa primaria di tutta
la nostra sofferenza esistenziale.
Lama Paljin Tulku Rinpoche